Cenni di teoria sui LED

Alcuni cenni di teoria sui LED (Light Emitting Diode) per chi fosse interessato ad approfondire gli aspetti teorici accennati nei video della serie sui led [Link video tag led].

Un LED è un diodo a giunzione p-n in grado di emettere luce quando è attraversato da corrente in polarizzazione diretta. In pratica, gli elettroni e le lacune si ricombinano nella giunzione rilasciando energia sotto forma di fotoni (luce)​

I semiconduttori

Bande in un semiconduttore

In un semiconduttore, la distanza energetica tra la banda di conduzione e la banda di valenza (nota come energy gap, Eg) è sufficientemente piccola da permettere ad alcuni elettroni di passare dalla banda di valenza — dove sono presenti in abbondanza — alla banda di conduzione, che invece ne è povera. Questo trasferimento genera delle “vacanze” nella banda di valenza, ovvero la mancanza di elettroni in alcune posizioni, che si comportano come cariche positive dette lacune. Allo stesso tempo, si ha un eccesso di cariche negative nella banda di conduzione. Quando si applica un campo elettrico al semiconduttore, sia gli elettroni nella banda di conduzione che le lacune nella banda di valenza possono muoversi, generando una corrente netta di carica.

Nei semiconduttori è possibile introdurre atomi di elementi differenti, un processo chiamato drogaggio, per modificare le proprietà elettriche del materiale. Se si introducono atomi con un numero maggiore di elettroni rispetto al semiconduttore ospite, si ottiene un materiale di tipo N (con un eccesso di elettroni, portatori di carica negativi). Al contrario, se si introducono atomi con meno elettroni, si ottiene un materiale di tipo P (con un eccesso di lacune, ovvero portatori di carica positivi).

Nei diodi, inclusi i LED, è presente una giunzione PN, formata da una regione drogata di tipo N (detta catodo) e una di tipo P (detta anodo). Alla giunzione tra queste due zone si verifica un’interazione tra portatori di carica di segno opposto: lacune nel materiale P ed elettroni nel materiale N. Quando un elettrone della regione N si ricombina con una lacuna nella regione P, l’energia in eccesso viene rilasciata. Nei LED (diodi a emissione luminosa), questa energia viene emessa sotto forma di radiazione elettromagnetica, che può essere luce visibile, infrarossa o ultravioletta, a seconda dell’ampiezza del gap energetico del materiale utilizzato.

Il colore emesso da un LED dipende quindi dal materiale semiconduttore e dal tipo di drogaggio utilizzato. Questi fattori determinano la distanza energetica tra la banda di conduzione e la banda di valenza, nota come band gap.

Di conseguenza, i LED rossi hanno tipicamente una tensione di soglia intorno a ~1,8 V, mentre i LED blu e bianchi (i quali utilizzano un chip blu ricoperto da uno strato di fosforo) richiedono tensioni più elevate, spesso superiori a 3 V.

Ecco una tabella indicativa delle tensioni che devono essere applicate tra anodo (polo positivo) e catodo (polo negativo) per LED di diversi colori:

  • Infrarosso: ~1,3 V
  • Rosso: ~1,8 V
  • Arancio / Giallo: ~1,9–2,0 V
  • Verde: ~2,0 V
  • Blu / Bianco: ~3,0–3,5 V
  • Ultravioletto: ~4,0–4,5 V

Inoltre oltre al materiale semiconduttore, diversi fattori influenzano la tensione di soglia (forward voltage) di un LED. Tra i principali:

  1. Temperatura di Giunzione: La tensione di soglia di un LED diminuisce all’aumentare della temperatura. Tipicamente, si osserva una riduzione di circa 2 mV/°C. Questo significa che, mantenendo costante la corrente, un aumento della temperatura porta a una diminuzione della tensione ai capi del LED. In circuiti a tensione costante, ciò può causare un aumento della corrente, potenzialmente danneggiando il dispositivo se non adeguatamente gestito.
  2. Corrente di Funzionamento: La tensione di soglia varia con la corrente applicata. A correnti più elevate corrisponde generalmente una tensione leggermente superiore. Tuttavia, aumentare la corrente oltre i limiti specificati può surriscaldare il LED, riducendone l’efficienza e la durata.
  3. Resistenza Serie: Ogni LED possiede una resistenza interna, detta resistenza serie, derivante dalla resistività dei materiali semiconduttori e dai contatti metallici. Questa resistenza influisce sulla tensione totale ai capi del LED, soprattutto a correnti elevate, causando una caduta di tensione aggiuntiva e una possibile riduzione dell’efficienza luminosa.
  4. Invecchiamento e Degradazione: Con l’uso prolungato, i LED possono subire variazioni nelle loro proprietà elettriche, inclusa la tensione di soglia. Fattori come l’elettromigrazione o la formazione di difetti interni possono aumentare la resistenza serie, modificando la tensione necessaria per il funzionamento.

Una caratteristica fondamentale del LED (come di qualunque diodo) è il suo comportamento non lineare: sotto una certa tensione quasi non conduce, superata la “soglia” conduce con rapidità crescente. È fondamentale controllare la corrente che attraversa un LED, piuttosto che applicargli semplicemente una tensione fissa.​

Infatti, la caduta di tensione ai capi di un LED acceso rimane quasi costante al variare della corrente, e una piccola variazione di tensione produce una grande variazione di corrente.​

Per questo motivo, se si alimentasse un LED imponendo una certa tensione, basta un lieve errore o un aumento della temperatura per far crescere eccessivamente la corrente, rischiando di bruciare il dispositivo. In altre parole, il LED non si limita da solo la corrente: una volta acceso diventa come un corto circuito a ~2-3 V, e senza un elemento di limitazione la corrente aumenterebbe finché il LED non si distrugge.

In pratica dunque un LED si alimenta in corrente costante: il circuito di pilotaggio deve assicurare che fluisca la corrente desiderata (ad es. 10 mA), e sarà il LED stesso ad assumere la sua tensione diretta nominale​.

Questo si ottiene in modo semplice mettendo un resistore in serie al LED (nel caso di sorgenti a bassa tensione) oppure usando un generatore di corrente costante per LED di potenza.​

Ad esempio, collegando un LED rosso (Vf ≈ 1,8 V) a una batteria da 9 V, si interpone una resistenza calcolata con la legge di Ohm: R = (Vbatteria – VLED) / ILED. Se si vuole una corrente di 15 mA, R ≈ (9 – 1,8) / 0,015 ≈ 480 Ω​. Dove è indicata con Vbatteria la tensione di alimentazione.

In questo modo la resistenza “assorbe” il resto della tensione e limita la corrente. Nei circuiti con microcontrollori (es. 5 V di uscita) spesso si usano resistenze da ~220 Ω per LED indicatori (corrente intorno a 10–20 mA)​.

Tuttavia, è importante ricordare che un microcontrollore non è progettato per fornire elevate correnti: le sue uscite digitali possono gestire solo una corrente limitata. Ad esempio, nel caso dell’ATmega328P (il microcontrollore alla base di molte schede Arduino), la corrente massima consigliata per ciascun pin è di 20 mA, mentre la corrente massima assoluta per tutti i pin insieme è di circa 200 mA (con limiti più bassi per ogni gruppo di pin, a seconda del datasheet). Inoltre, la corrente massima per pin assoluta (oltre la quale si rischia il danneggiamento) è 40 mA, ma non è raccomandato raggiungerla in uso continuo.

Quindi, se si collegano più LED o carichi contemporaneamente a diversi pin, si rischia di superare la capacità totale di corrente dell’MCU, danneggiandolo. Per questo motivo, è buona pratica usare componenti esterni di commutazione, come transistor BJT, MOSFET o driver dedicati, che permettono di controllare carichi anche più elevati senza sovraccaricare le uscite digitali del microcontrollore.

Per LED ad alta potenza (es. 1 W o più) il metodo della resistenza diventa poco efficiente, perché dissiperebbe troppa potenza: in questi casi si usano driver elettronici (circuiti switching) che forniscono una corrente costante senza grosse perdite.

Caratteristica I-V e Resistenza Dinamica del LED

La caratteristica corrente-tensione (I-V) di un LED ha l’andamento tipico di un diodo a semiconduttore: quasi nessuna corrente fino alla tensione di soglia, poi una crescita ripida (esponenziale) della corrente al crescere della tensione applicata​.

A differenza di un resistore (che avrebbe una relazione lineare V=R·I), il LED per V sotto soglia si comporta quasi da circuito aperto, mentre appena sopra la soglia la curva sale ripidamente. In termini pratici: piccole variazioni di tensione producono grandi variazioni di corrente in un LED, specie oltre la soglia​.

Questa proprietà si descrive tramite la resistenza dinamica (o differenziale) del diodo, definita come la derivata dV/dI sulla curva I-V in un dato punto di lavoro​.

In parole semplici, è come la “resistenza interna” che il LED oppone a piccole variazioni di corrente attorno a quel punto.

Per chiarire, consideriamo un esempio intuitivo: un LED rosso che a 10 mA presenta circa 1,8 V ai suoi capi. Se aumentiamo la corrente a 20 mA, la tensione potrebbe salire solo a ~2,0 V. Un aumento di corrente di 10 mA ha causato un aumento di tensione di soli 0,2 V; in quell’intervallo la resistenza dinamica è di circa 20 Ω. A correnti più elevate la curva diventa ancora più ripida (tratto quasi verticale), e la resistenza dinamica scende a pochi ohm​.

Ciò significa che il LED acceso si comporta quasi come un generatore di tensione costante, con una piccola resistenza interna. Questa bassa resistenza differenziale fa sì che il LED “si prenda” quanta corrente può se non limitato esternamente: un lieve aumento di tensione o un piccolo incremento di temperatura (che come detto abbassa la Vf) portano a un grande incremento di corrente, potenzialmente distruttivo.​

Nella figura potete vedere un esempio di curve I-V tipiche per LED di diversi colori. Si nota che ciascun colore (IR=infrarosso, R=rosso, O=arancio, G=giallo, Y=verde, B=blu, W=bianco, UV=ultravioletto) ha una diversa tensione di soglia e che oltre tale soglia la corrente cresce rapidamente al crescere del potenziale applicato.

In figura si vede inoltre perché non si collegano LED in parallelo diretto: se due LED di colori diversi fossero in parallelo alla stessa tensione, quello con Vf più bassa condurrebbe quasi tutta la corrente (fenomeno di current hogging)​.

Ad esempio, collegando in parallelo un LED rosso, verde e blu a 2,0 V, il rosso monopolizzerebbe la corrente (decine di mA) mentre il blu rimarrebbe quasi spento​. Per questo, quando occorre mettere LED in parallelo, si dà a ciascuno il suo resistore di limitazione​.

Riassumendo, la caratteristica I-V impone di dimensionare correttamente i circuiti: si usa sempre una resistenza (o un driver a corrente costante) in serie a ogni ramo LED, e se si collegano più LED in serie le tensioni di soglia si sommano (ma la corrente resta la stessa)​.

Ad esempio, due LED in serie (uno da 1,8 V e uno da 2,0 V) avranno circa 3,8 V totali di caduta a una data corrente, che dovrà essere al massimo la minore fra le correnti nominali dei due (per non danneggiare quello più “debole”).

Nella box qui sotto potete esplorare come cambia la curva caratteristica di un LED modificando alcuni parametri come la corrente di saturazione, la temperatura e il coefficiente di idealità. La corrente di saturazione è una piccolissima corrente che scorre nel diodo anche quando non è polarizzato direttamente: rappresenta il flusso di portatori di carica “minoritarî” che si muovono nel semiconduttore. È fondamentale per determinare a che tensione il LED inizia a condurre corrente in modo significativo. Anche se nella pratica questi valori si trovano già nei datasheet, visualizzarli in questo modo aiuta a capire meglio come funziona un LED.

Emissione fotonica ed efficienza

Quando il LED conduce in forward, non tutta l’energia elettrica si converte in luce utile. Una parte viene persa in calore (fononi invece che fotoni).

L’efficienza quantica interna di un LED (percentuale di coppie elettrone-lacuna la cui ricombinazione produce un fotone) e l’efficienza estrattiva (percentuale di fotoni generati che effettivamente escono dal dispositivo) determinano quanta luce otteniamo per unità di corrente.

I LED moderni hanno efficienze molto superiori alle lampadine a incandescenza: ad esempio, un LED bianco può produrre 100–200 lumen/W (grazie a >40% di efficienza radiante interna più un’efficiente conversione fosfori per i LED bianchi), contro i ~10–15 lm/W di una lampadina ad incandescenza tradizionale.

Tuttavia, l’efficienza di emissione non è costante al variare della corrente: molti LED soffrono di un calo di efficienza alle alte correnti, fenomeno noto come efficiency droop.

In pratica aumentando la corrente oltre un certo punto, l’incremento di luce emessa è sub-lineare: il LED diventa meno efficiente e una porzione maggiore di energia si dissipa in calore.

Le cause di questo fenomeno sono legate a meccanismi di ricombinazione non radiativa (ad esempio la ricombinazione Auger in cui l’energia va ad altri portatori anziché in un fotone) e alla saturazione dei centri radiativi. Curiosamente, studi hanno dimostrato che il droop di efficienza diminuisce a temperature elevate (anche se la vita del LED ne risente), indicando che non è principalmente il riscaldamento a causarlo​.

In genere comunque, per massimizzare efficienza e durata, i LED di potenza non vengono fatti funzionare alla corrente massima assoluta specificata, ma ad un valore inferiore (es: LED da 1A spesso usati a 700 mA o meno) così da ottenere un migliore rapporto lumen/W e meno stress termico.

Effetti della temperatura

La temperatura ha una grande influenza sia sulle caratteristiche elettriche sia sull’emissione luminosa del LED. Innanzitutto, come poco sopra accennato, l’aumento della temperatura di giunzione fa diminuire la tensione di forward Vf richiesta a parità di corrente.

Questo coefficiente negativo dVF/dT varia a seconda del tipo di LED e della corrente: ad esempio, un LED rosso tipico può mostrare un calo di ~80 mV passando da 25°C a 100°C (a bassa corrente ~25 mA), e fino a ~140 mV allo stesso intervallo di temperatura se polarizzato a 200 mA​. LED blu e verdi tendono ad avere variazioni ancora maggiori​.

In termini approssimativi, si tratta di pochi mV per grado (tipicamente dell’ordine di -2 mV/°C fino a -8 mV/°C a seconda del materiale e regime di corrente).

Ciò significa che se un LED è pilotato da una sorgente di tensione fissa, un aumento di temperatura farà aumentare la corrente (perché la Vf cala) instaurando un possibile circolo vizioso: più corrente → più riscaldamento → Vf minore → ancora più corrente.

Questo è un altro motivo per cui i LED vanno alimentati a corrente costante: il driver deve adeguare la tensione ai capi del LED per mantenere la corrente impostata, compensando le variazioni di Vf con temperatura.

Dal lato luminoso, all’aumentare della temperatura la luminosità emessa per una data corrente tende a diminuire.

Ad esempio, un LED rosso potrebbe emettere solo ~75–80% della luce (a 20 mA) a 80°C rispetto a quella emessa a 25°C.

Anche il colore può variare leggermente: nei LED bianchi a fosfori, temperature più alte spostano la tonalità verso il giallo (a causa della minore efficienza del chip blu e diversa risposta del fosforo).

I produttori specificano spesso una “derating curve” che indica di quanto ridurre la corrente massima al crescere della temperatura di giunzione per garantire affidabilità. Infatti, temperature elevate accelerano i meccanismi di degrado: nel tempo i LED perdono luminosità (invecchiamento) più rapidamente se fatti funzionare con giunzioni a temperature alte.

È buona norma dunque progettare un’adeguata dissipazione termica: per LED di potenza il chip è montato su substrati metallici e deve essere accoppiato ad un dissipatore; inoltre alcuni driver includono sensori termici o misurano indirettamente la Vf per stimare la temperatura e prevenire surriscaldamenti​.

Pubblicato il 25 Aprile 2025 in temporanea