La Carta d’Identità Rubata
Racconto per due fermate di tram.
Non ricordo la stagione, sicuramente un pomeriggio in piena era COVID. Un problema imponeva una soluzione: rifare il documento che avevano rubato alla mamma della mia ex amica. In questi casi, se sprovvisti di altri documenti che certifichino l’identità, è necessario presentarsi con due persone che la confermino davanti all’impiegato che gestisce il rinnovo; loro mi chiesero di accompagnarle per fare da secondo garante, e io accettai.
Le avevano rubato l’intera borsa mentre era ferma al semaforo, in auto e in attesa del verde. Un uomo si avvicinò al finestrino per chiederle informazioni su come raggiungere un luogo in città, e lei, confusa mentre illustrava il percorso, non si accorse che un complice, alle sue spalle, apriva la portiera posteriore dell’auto, impossessandosi della borsa lasciata sul sedile, che conteneva soldi, chiavi di casa, codice fiscale e altri documenti e oggetti.
Era un pomeriggio, piovigginava, e andammo nella sede dislocata dell’anagrafe di Via Sansovino 9, nel Municipio 3. Il luogo era affollatissimo; le lunghe attese si estendevano fin sulle scale esterne, prima ancora di accedere a un salone pieno di sportelli con separatori trasparenti di plastica che indicavano “aperto al pubblico”. L’ambiente tipico degli uffici pubblici minori comprendeva: vocii interminabili, file di sedie occupate, un distributore di snack desolato, il ronzio intermittente di qualche neon stanco e muri grigi impolverati.
Arrivò il nostro turno e ci sedemmo su tre sedie di fronte a un impiegato che, a differenza degli altri sportelli, non aveva un separé. Ritirò la mia carta d’identità e quella della figlia, la richiesta di rinnovo, le foto, la denuncia di furto, iniziando a inserire tutti i dati per procedere all’emissione.
L’impiegato si focalizzò su un dettaglio: le tre fototessere necessarie, non più in un unico blocco, ma tagliate l’una dall’altra. Le guardò attentamente e le confrontò con l’aspetto reale della signora. Ne guardai una, al contrario, trovandomi in quella visuale, e notai che risalivano anche a dieci anni prima. La fisionimia della signora risultava decisamente diversa da quello attuale; i capelli sempre marroni e tinti in casa, ma l’espressione e la rotondità del viso mostravano un cambiamento completo. Restava comunque riconoscibilissima, anche solo dalle sopracciglia, molto diradate, che colora ancora di scuro utilizzando il mascara, un’abitudine evidentemente di lunga data.
Visibilmente perplesso, l’impiegato esitò a procedere con il rinnovo, segnalando che le immagini non erano conformi. Forse l’evidente delusione sui nostri visi all’idea di dover rifare le foto e tornare – la mia quasi incredulità data l’evidente disattenzione, accompagnata da uno sbuffo appena accennato – lo fece riflettere.
A quel punto, l’impiegato si soffermò sull’età della signora, la pronunciò ad alta voce con un tono insieme indulgente, disincantato e remissivo: «Lei ha 80 anni!». Sembrava sottintendere — senza sapere che guidava ancora — che quella carta d’identità le sarebbe ormai servita, nella migliore delle ipotesi, per qualche necessità ospedaliera. Senza aggiungere altro, si decise a emettere il duplicato utilizzando quelle fotografie.
Tornando a casa, non potei fare a meno di riflettere su quelle fototessere e sulla scelta di usarle. Forse avevano ignorato la possibile contestazione, o magari fu un desiderio silenzioso della mamma, un modo per aggrapparsi a un’immagine di sé più giovane, con meno dolori fisici e più ricordi felici. Si sentiva più bella in quelle foto, e per lei non erano solo un requisito burocratico, ma un piccolo frammento di identità preferita. O forse la decisione fu della figlia, per evitare spese o complicazioni, minimizzando con un “Ma sì, vanno bene, tanto si vede che sei tu, chi vuoi che le guardi?”. E così, quella carta d’identità, con la sua immagine anacronistica, era oltre un documento; un profondo riflesso di esistenze, intriso di nostalgia, nudo pragmatismo e di inattesa flessibilità delle regole amministrative.

Scritto da Sarci Vincentini
Pubblicato il 26 Luglio 2025 in vita
Racconto breve snello e scritto bene.
Lo scrittore ha il dono della sintesi e ci fa riflettere sul tempo che passa, come ognuno lo vive a seconda dell’età non solo anagrafica.